Bauernkriege in Europa – Vor 505 Jahren

Friedrich Engels: Der deutsche Bauernkrieg

italiano

La guerra dei contadini in Germania di Friedrich Engels (1850)

III

[Vorläufer des großen Bauernkriegs
zwischen 1476 und 1517]

In demselben Jahre 1514, ebenfalls im Frühjahr, kam in Ungarn ein allgemeiner Bauernkrieg zum Ausbruch. Es wurde ein Kreuzzug wider die Türken gepredigt und wie gewöhnlich den Leibeignen und Hörigen, die sich anschlössen, die Freiheit zugesagt. Gegen 60.000 kamen zusammen und wurden unter das Kommando Georg Dózsas, eines Szeklers, gestellt, der sich schon in früheren Türkenkriegen ausgezeichnet und den Adel erworben hatte. Aber die ungarischen Ritter und Magnaten sahen nur ungern diesen Kreuzzug, der ihnen ihr Eigentum, ihre Knechte, zu entziehen drohte. Sie eilten den einzelnen Bauernhaufen nach und holten ihre Leibeignen mit Gewalt und unter Mißhandlungen zurück. Als dies im Kreuzheer bekannt wurde, brach die Wut der unterdrückten Bauern los. Zwei der eifrigsten Kreuzprediger, Laurentius und Barnabas, stachelten den Haß gegen den Adel im Heer durch ihre revolutionären Reden noch heftiger an. Dózsa selbst teilte den Zorn seiner Truppen gegen den verräterischen Adel; das Kreuzheer wurde eine Revolutionsarmee, und er stellte sich an die Spitze dieser neuen Bewegung.

Er lagerte mit seinen Bauern auf dem Rákosfelde bei Pest. Die Feindseligkeiten wurden eröffnet durch Streitigkeiten mit den Leuten der Adelspartei in den umliegenden Dörfern und den Pester Vorstädten; bald kam es zu Scharmützeln, endlich zu einer Sizilianischen Vesper für alle Adligen, die den Bauern in die Hände fielen; und zur Niederbrennung aller umliegenden Schlösser. Der Hof drohte, aber umsonst. Als die erste Volksjustiz unter den Mauern der Hauptstadt am Adel vollstreckt war, schritt Dózsa zu weiteren Operationen. Er teilte sein Heer in fünf Kolonnen. Zwei wurden nach dem <370> oberungarischen Gebirge geschickt, um hier alles zu insurgieren und den Adel auszurotten. Die dritte, unter Ambros Száleresi, einem Pester Bürger, blieb zur Beobachtung der Hauptstadt auf dem Rákos; die vierte und fünfte führten Dózsa und sein Bruder Gregor gegen Szegedin.

Inzwischen sammelte sich der Adel in Pest und rief den Woiwoden von Siebenbürgen, Johann Zápolya, zu Hülfe. Der Adel, in Gemeinschaft mit den Bürgern von Budapest, schlug und vernichtete das auf dem Rákos lagernde Korps, nachdem Szaleresi mit den bürgerlichen Elementen des Bauernheers zum Feinde übergegangen war. Eine Menge Gefangener wurden auf die grausamste Weise hingerichtet, der Rest mit abgeschnittenen Nasen und Ohren nach Hause geschickt.

Dózsa scheiterte vor Szegedin und zog gegen Csanád, das er eroberte, nachdem er ein Adelsheer unter Bátori István und dem Bischof Csáky geschlagen und an den Gefangenen, worunter auch der Bischof und der königliche Schatzmeister Teleki, blutige Repressalien für die Grausamkeiten auf dem Rákos genommen hatte. In Csanád proklamierte er die Republik, die Abschaffung des Adels, die allgemeine Gleichheit und die Souveränetät des Volks und zog dann gegen Temesvár, wohinein sich Bátori geworfen hatte. Aber während er diese Festung zwei Monate lang belagerte und durch ein neues Heer unter Anton Hosszu verstärkt wurde, erlagen die beiden oberungarischen Heerhaufen in mehreren Schlachten vor dem Adel und rückte Johann Zápolya mit der siebenbürgischen Armee gegen ihn an. Die Bauern wurden von Zápolya überfallen und zersprengt, Dózsa selbst gefangen, auf einem glühenden Thron gebraten und von seinen eigenen Leuten, die nur unter dieser Bedingung das Leben geschenkt erhielten, lebendig gegessen. Die versprengten Bauern, von Laurentius und Hosszu wieder gesammelt, wurden nochmals geschlagen und alles, was den Feinden in die Hände fiel, gepfählt oder gehängt. Zu Tausenden hingen die Bauernleichen die Straßen entlang oder an den Eingängen verbrannter Dörfer. An 60.000 sollen teils gefallen, teils massakriert sein. Der Adel aber trug Sorge, auf dem nächsten Landtag die Knechtschaft der Bauern abermals als Gesetz des Landes zur Anerkennung zu bringen.




italiano

Nello stesso anno 1514, pure in primavera, in Ungheria scoppiò una guerra di contadini su piano generale. Era stata bandita una crociata contro i turchi e, come al solito, era stata promessa la libertà ai servi della gleba e agli affrancati che si arruolavano. Se ne riunirono circa 60.000 e furono messi sotto il comando dello Székler[1] Giorgio Dòzsa, il quale si era già distinto nella guerra precedente contro i turchi e aveva guadagnato un titolo nobiliare. Ma i cavalieri e i magnati ungheresi vedevano di malocchio questa crociata che minacciava di privarli dei servi che erano loro proprietà. E così inseguirono le schiere dei contadini e riportarono indietro, con la violenza e maltrattandoli, i loro servi. Quando questo fatto si riseppe nell’esercito dei crociati, l’ira dei contadini oppressi esplose. Due dei più zelanti predicatori della crociata, Lorenzo e Barnaba, con i loro discorsi rivoluzionari fomentarono sempre più fortemente nell’esercito l’odio contro la nobiltà. Lo stesso Dòzsa condivise l’odio delle sue truppe contro la nobiltà traditrice. L’esercito crociato divenne un’armata rivoluzionaria e Dòzsa si mise alla testa di questo nuovo movimento.

Con i suoi contadini egli si accampò nella pianura del Ràkos presso Pest. Le ostilità furono aperte con delle contese che sorsero con gente del partito dei nobili nei villaggi circostanti e nei sobborghi di Pest. Ma ben presto si venne a delle scaramucce e si andò a finire ad un vespro siciliano per tutti i nobili che cadevano nelle mani dei contadini e all’incendio dei castelli dei dintorni. La corte minacciò, ma invano. Dopo che sotto le mura della capitale fu compiuto questo primo atto di giustizia popolare sulla nobiltà, Dòzsa passò ad operazioni su più vasta scala. Divise il suo esercito in cinque colonne; due furono mandate sui monti dell’alta Ungheria per provocare un’insurrezione generale e sterminare la nobiltà; la terza, comandata da un borghese di Pest, Szàleresi, rimase nella pianura del Ràkos per tener d’occhio la capitale; la quarta e la quinta furono condotte da Dòzsa e da suo fratello Gregorio contro Szegedin.

Frattanto a Pest si riuniva la nobiltà e chiamava in aiuto il voivoda di Siebenbürgen, Giovanni Zàpolya. La nobiltà, insieme con i borghesi di Budapest, dopo che Szàleresi fu passato al nemico insieme agli elementi borghesi dell’esercito dei contadini, batté e annientò il corpo che era accampato nella pianura del Ràkos. Una certa quantità di prigionieri fu giustiziata con i più orribili supplizi, gli altri furono rispediti a casa mutilati del naso e delle orecchie.

Dòzsa, subita una sconfitta davanti a Szegedin, mosse contro Csanàd e se ne impadronì, dopo aver battuto un esercito di parte nobiliare comandato da Bàtori Istvan e dal vescovo Ksàky ed aver esercitato sui prigionieri di guerra, tra i quali il vescovo e il tesoriere del re, Teleki, delle sanguinose rappresaglie per gli orrori da loro perpetrati sul Ràkos. A Csanàd, Dòzsa proclamò la repubblica, l’abolizione della nobiltà, l’eguaglianza generale e la sovranità del popolo. Quindi marciò su Temesvàr dove si era rinchiuso Bàtori. Ma durante l’assedio della città, che egli condusse per due mesi rafforzato da un nuovo esercito guidato da Antonio Hosszu, le due schiere dell’alta Ungheria vennero battute dalla nobiltà in varie battaglie e Giovanni Zàpolya con l’armata della Transilvania mosse di nuovo contro di lui. I contadini furono assaliti e sgominati da Zàpolya e lo stesso Dòzsa, fatto prigioniero, fu arrostito su un trono rovente e mangiato dai suoi stessi seguaci, che, solo a questa condizione, poterono avere salva la vita. I contadini che erano stati sgominati furono radunati ancora da Lorenzo e Hosszu, ma furono sconfitti di nuovo a tutti quelli che caddero nelle mani dei nemici furono impalati o impiccati. I cadaveri dei contadini pendevano a migliaia dalle forche lungo le strade o alle porte dei villaggi incendiati. Circa 60.000 caddero o furono massacrati. E la nobiltà, nella dieta che seguì, ebbe cura di far sanzionare ancora una volta la servitù della gleba come una legge del paese.

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